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SENZA ANESTESIA
(BEZ ZNIECZULENIA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 marzo 1981
 
di Andrzej Wajda, con Zbigniew Zapasiewics, Ewa Dalkowska (Polonia, 1978)
 

Un uomo è privato del proprio lavoro e, contemporaneamente, viene abbandonato, senza ragione apparente, dalla moglie. SENZA ANESTESIA, del quale già ci occupammo al Festival di Cannes del 1979 segue L'UOMO DI MARMO, e non solo cronologicamente. E infatti uno dei film del grande regista polacco che si occupa del tempo presente, lontano dai simboli, dalla letteratura e dai temi storici che hanno lungamente accompagnato la carriera di Wajda. E che gli hanno permesso di trasmettere, fra le pieghe di un discorso troppo difficile da censurare, il proprio pensiero.

Il protagonista è un uomo di successo: nella sequenza di apertura, brillantissima, egli appare su una moltitudine di schermi televisivi, mentre giunge all'aeroporto da uno dei suoi numerosi, e invidiati, viaggi all'estero. Da quell'istante, apice del successo, iniziano le sue disgrazie. Giunto a casa la moglie, inaspettatamente, gli annuncia di volersene andare. E in ufficio, l'indomani, e a scuola, i primi sintomi della caduta professionale. Il film termina con la scomparsa del protagonista, ormai senza lavoro, abbandonato dalla famiglia, ucciso dallo scoppio (incidente, suicidio?) di una stufa malandata del suo appartamento.

SENZA ANESTESIA sostiene innanzitutto uno dei temi cari a molti autori del cinema dell'Est: il privato e il politico (o, se preferite, il professionale, il pubblico) sono inscindibili. Legati ad un destino comune. Ma il film compie un passo oltre, che lo porta così alle soglie di una dimensione più astratta, ma anche più poetica: il tema del successo e dello scacco.Viviamo in un mondo, in una società, in una filosofia che ammette soltanto il principio della riuscita. Se il meccanismo interno dell'individuo scricchiola, o addirittura se questa sua fede nel successo viene a mancare, è l'inizio della fine. Dei momenti misteriosi, li ha definiti Wajda stesso, di debolezza interna, durante i quali ogni energia scompare e ci ritroviamo disarmati, perplessi. A questo punto giungono le disgrazie, le donne ci abbandonano, dobbiamo rinunciare alle nostre professioni, siamo minacciati dalle malattie e dalla solitudine. ll fascino del film è di riuscire a fondere questi due temi: l'accusa, fors'anche politica, ad un modo di vivere che permette di far scomparire, spiritualmente o addirittura materialmente, un individuo. E quello dell'imponderabile, dell'irrazionale che scatena la crisi.

Tenuto volutamente nell'incertezza dei significati (le vere ragioni per le quali la moglie parte non sono chiarite, il finale è un suicidio o un incidente, la figura misteriosa - la sola simbolica... - della giovane studentessa che assiste silenziosa e impassibile al compiersi del dramma) il film è invece composto formalmente con una volontà evidente di estrema chiarezza, di realismo quasi documentaristico. Dalla sceneggiatura, che è perfettamente compiuta nella sua logica, incalzante, senza una sbavatura, allo stile, che è fatto tutto di piani medi, dalla cintola in su, di personaggi inseguiti costantemente, fisicamente. Per terminare su dei primi piani altrettanto "fisici" (fino ai pori della pelle delle attrici prive di trucco) per incalzare i protagonisti fino al malessere, come nella scena volutamente "rivoltante" del dente cavato e sputato nella bacinella del dentista.

C'è infine una ragione che rende SENZA ANESTESIA particolarmente toccante, ed è la componente autobiografica. Dietro alle sue immagini, costantemente, noi sentiamo la confessione accorata dei dubbi della stanchezza, dell'angoscia di un grande creatore giunto alla soglia della vecchiaia. Un film che può essere visto in diversi modi, diciamo pure un film ambiguo. La scomparsa del protagonista può significare la volontà di voler cancellare un'intelligenza. Ma anche la scomparsa, per ragioni naturali, di una mediocrità di successo. Come disse Wajda stesso a Cannes: "Quando ho discusso con dei giovani, mi hanno rinfacciato che quel personaggio di successo, dipinto all'inizio del film, non era accettabile. Successo significa compromesso, successo ed onestà sono due concetti che non vanno d'accordo. E allora non ho potuto evitare di pensare a me stesso: anch'io sono quello che si definisce un uomo di successo. Ho ormai realizzato tutti i film che volevo fare. E in generale, tutti questi film sono stati ben accettati, persino lodati. Allora, questo significa che agli occhi dei giovani anche il mio successo assume un aspetto ambiguo, o addirittura sospetto...?". Costruito tutto in un blocco, con una coerenza formale che si oppone dialetticamente alle molte rimesse in questione ideologiche che lo caratterizzano il film è soprattutto un'opera intensamente vissuta. Probabilmente da tutti, dal regista, dagli splendidi protagonisti.

Un episodio, sempre citato da Wajda stesso, mi sembra riassumere perfettamente quello che dev'essere stato Senza anestesia. Il grosso problema rimaneva quello - racconta il regista - di come finire il film. Con una riconciliazione, amara, fragile, ma comunque riconciliazione? Oppure con un suicidio? O con quel dubbio fra suicidio e incidente che abbiamo poi scelto?

"Mi è successa comunque una cosa curiosa: stavo girando la scena del tribunale, con quel divorzio così duro per il protagonista, così ingiusto, manipolato... Osservavo quel corridoio, tutta quella gente occupata, inquieta, e pensai che in mezzo a quella folla, in definitiva una riconciliazione dei miei personaggi era possibile. Quel processo orribile avrebbe potuto, in definitiva, unirli."


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